E pensare che c'è chi non ha mai sentito parlare di Gibellina
Ma neanche del Teatro Andromeda o del Cretto di Burri. La mia Sicilia di quest'estate 2024, un'immersione nel design e nell'architettura, tra gli esperimenti del progetto più interessanti d'Italia
Le chiamano vacanze ma la mente non smette di pensare a come raccontare al mondo le bellezze che vivi, soprattutto se sono ancora poco note al grande pubblico. Del resto lo dice anche il filosofo Byung-Chul Han in Psicopolitica, sono finiti i tempi in cui il lavoro era confinato all’area del dovere (e aveva un limite orario), ora è nell’area POTERE, che significa lavori tutte le volte che puoi, quindi sempre. Giusto o sbagliato che sia, è così. E in ogni caso, raccontare al mondo la Sicilia della mia estate 2024 devo dire che, al di là di tutto, è un gran piacere.
Non serve annoiarvi con l’emozione intensa, al limite delle lacrime, provata a Taormina, entrando di mattina presto al Teatro Antico. Non serve forse neanche parlarvi del Barocco di Ragusa Ibla, della passeggiata lungo corso Vittorio Emanuele II a Noto o dell’Antica Dolceria Bonaiuto di Modica - tutte realtà notissime e di cui trovate dettagli su qualsiasi guida turistica.
Sono due i luoghi di cui intendo parlare. Di uno non avevo mai sentito nulla (ignoranza mia, s’intenda ma credo di non essere la sola). È il Teatro Andromeda di Santo Stefano Quisquina sui monti Sicani (a tratti sembra di essere in Val d’Aosta).
Un luogo magico che prende il nome di una costellazione, prima ancora che di una figura mitologica. Sì Andromeda era la figlia di Cefeo e Cassiopea, sovrani d’Etiopia. E la sua storia ha a che fare con la superbia della madre che si proclamò migliore delle Nereidi. Loro chiesero vendetta e il Paese fu colpito da tempeste. Solo il sacrificio della loro figlia Andromeda le avrebbe fermate. Ma per fortuna arrivò Perseo. Tutti loro finirono poi immortali nel cielo per volere di Atena.
La storia del Teatro Andromeda è altrettanto avvincente. L’ha voluto Lorenzo Reina, il figlio di un pastore che lo voleva a sua volta pastore. Ma lui aveva la passione della poesia e dell’arte, della scultura in particolare. Così ha lavorato per decenni al suo progetto che è diventato nel tempo una delle opere di land art più famose al mondo.
La posizione del teatro, del palco e di tutte le sedute - è tutto realizzato in una pietra quasi rossiccia, calda - ha a che fare con gli allineamenti celesti, solstiziali ed equinoziali. Un’opera in continuo divenire, una sorta di vascello sospeso nel cosmo dove hai la sensazione di sentire un’energia particolarissima, forse data anche dalla disposizione dei cubi-seduta che riprendono la disposizione delle costellazioni. Sul Teatro, sulle sue fondamenta scientifiche e astronomiche, è dedicata una mostra in corso alla GAM - Galleria d’Arte Moderna di Palermo, a cura di Alessio Bortot, Agostino De Rosa e Imago rerum. La strada per raggiungere il teatro è piacevolissima tra campi a grano, distese brulle e qualche pino. E vale un viaggio. Consigliabilissimo arrivarci al tramonto.
Il viaggio prosegue fino a Gibellina e al Cretto di Burri. Ne avevo sentito parlare, certo, ma non immaginavo di vivere, al Cretto, un’emozione così intensa e di scoprire invece, a Gibellina, un progetto culturale statale così straordinario, artistico e architettonico insieme, provando, infine, gran dispiacere per il suo fallimento. Ci vuole anche qui un po’ di storia: il 15 gennaio 1968 un terremoto di magnitudo 6.4 della scala Mercalli distrugge Gibellina che ne è l’epicentro.
Il sindaco della città, Ludovico Corrao, insieme a un gruppo di intellettuali come Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Giovanni Treccani, a un anno dal sisma, lanciano la sfida della ricostruzione chiamando a raccolta i migliori artisti e architetti per costruire una nuova città ideale, una Gibellina Nuova. All’appello di solidarietà risposero artisti come Pietro Consagra, Carla Accardi, Nanda Vigo, Alberto Burri (e di lui parliamo tra pochissimo).
A 18 chilometri dalla Gibellina distrutta eccone un’altra dove la porta di ingresso è una stella gigantesca disegnata da Consagra, la chiesa, bellissima porta la firma di Ludovico Quaroni (è la foto di apertura). E poi ci sono Il Giardino Segreto di Francesco Venezia, la casa del farmacista di Franco Purini e tanti altri edifici di grande architettura.
Da non perdere in città la visita al Mac, il Museo d’Arte Contemporanea, intitolato al sindaco Corrao, dove sono raccolte centinaia di opere d’arte donate dagli artisti italiani alla città. Tutte bellissime certo, ma le stanze dedicate a Mario Schifano sono straordinarie.
Ci sono una decina di opere realizzate con il suo classico impasto materico e le sgocciolature, riunite in uno dei suoi più originali e preziosi cicli pittorici, il Ciclo della natura che l’artista realizzò qui nel cuore del Belice nella primavera del 1984. Mi ha commosso quello dedicato all’acqua. Disse di aver chiesto ai bimbi di Gibellina che cosa mancasse loro. Al che risposero: il mare. Per loro disegno le onde. Splendido anche l’angelo bianco che si staglia su un fondo rosso.
Ma veniamo a Burri: quando fu chiamato come gli altri a donare una sua opera, andò a Gibellina e volle recarsi proprio là dove il terremoto aveva lasciato un cumulo di macerie. È qui che decise di operare realizzando una delle opere di land art più maestose di sempre, quasi 90 mila metri quadri. Compattò le macerie, mantenendo la pianta viaria di quel paese distrutto e le ricoprì con blocchi di cemento “silenzioso”. Un’opera d’arte che emoziona perché trattiene, incorpora la ferita che fu per consentirci di viverla, di camminare tra quelle strade immaginando la vita e andando oltre.
Spero di aver convinto qualcuno di voi a pianificare un viaggio non solo in Sicilia tra i templi, il barocco e il mare, ma soprattutto in queste lande meno note, ma altrettanto emozionanti.